QUANDO LA MENTE RICORDA, IL CORPO INIZIA A DIMENTICARE
- Dott.ssa Daniela Gallicchio
- 11 gen 2024
- Tempo di lettura: 6 min
Definizione, distribuzione, fattori di rischio, di mantenimento e prognosi dei Disturbi del Comportamento Alimentare (DCA).

I disturbi del comportamento alimentare (DCA), definiti nel DSM-5 come “Disturbi della Nutrizione e dell’Alimentazione”, sono psicopatologie complesse che derivano dall’interazione dinamica tra fattori genetici, psicologici, biologici, familiari e socioculturali.
Tra i più comuni annoveriamo l’anoressia nervosa, la bulimia nervosa, il disturbo da binge-eating e i disturbi della nutrizione e dell’alimentazione non altrimenti specificati (DANAS).
Gli studi epidemiologici internazionali indicano che i DCA generalmente esordiscono durante l' adolescenza (tra i 12 e 25 anni), ma negli ultimi anni stiamo assistendo ad una comparsa precoce dei tipici sintomi già durante l’infanzia e la prima adolescenza, sia rispetto ai disturbi dell'alimentazione poi diagnosticati in età adulta, sia rispetto ai disturbi della nutrizione specifici di quell’età.
Purtroppo già all’età di 8 anni vengono rilevate problematiche legate all’anoressia e alla bulimia, insieme ad altri disordini alimentari più difficili da individuare, come l’alimentazione selettiva o la disfagia (difficoltà a deglutire). L' utilizzo dei social, che facilitano il confronto con modelli di bellezza irraggiungibili, possono spiegare in parte gli esordi precoci.
Nella nostra quotidianità il cibo assume molteplici significati affettivi e/o relazionali che vanno oltre il mero soddisfacimento fisiologico; diversi studi indicano che condividere i pasti con persone per noi importanti influisce positivamente sulle nostre capacità di regolazione emotiva. Invece, nel caso dei DCA, si riscontra una misura abnorme di questi stessi significati tale da rendere il cibo un' ossessione pervasiva nella vita di chi sviluppa il disturbo.
Il rifiuto di mangiare di un adolescente, nonostante i crampi allo stomaco, forse vuole comunicare il timore di vedere il proprio corpo maturare durante questa fase di sviluppo così delicata? Oppure può esserci nella sua psiche la percezione di un cibo “nocivo” offerto da un genitore incapace di dare le cure necessarie?
Allora il sintomo alimentare diventa lo scoglio su cui aggrapparsi per ristabilire un senso.
Chi soffre di DCA, che sia mangiando in difetto o in eccesso, come ad esempio nel caso delle abbuffate, cerca di colmare viziosamente, rimanendone tuttavia sui bordi, la medesima sensazione, ovvero il vuoto. Esso può essere riempito in maniera illusoria attraverso il cibo come fa la bulimica, che poi pentendosi di essersi concessa alla pulsione, vomita o utilizza lassativi per ristabilire l’ideale del corpo magro. L’ anoressica, invece, affronta questo vuoto attraverso il distacco da sé e dagli altri, l’ascetismo, costruendo così l’immagine di un essere apparentemente forte e invincibile.
La letteratura infatti riporta dati su tratti di personalità simili ma anche differenti tra la popolazione anoressica e bulimica, per cui la prima sembra possedere un maggior senso di responsabilità sociale e perseveranza, la seconda invece si mostra più impulsiva e incline all’abuso di sostanze.
Tuttavia, il passaggio da una sintomatologia alimentare all’ altra sembra essere la regola piuttosto che l’eccezione. Così chi riceve una diagnosi di anoressia può nel giro di pochi anni iniziare a sviluppare la bulimia e viceversa, senza contare gli innumerevoli casi di DCA, sempre più in aumento, che non soddisfano pienamente i criteri delle categorie sopramenzionate (DANAS).
Ciò può far comprendere al lettore la complessità di questi disturbi che necessitano ancora di essere esplorati nei loro fattori predittivi, protettivi e di rischio nella ricerca futura.
Quali sono i fattori predisponenti?
Per quanto riguarda la familiarità si riscontrano diverse condizioni, tra cui storie di sovrappeso, DCA, depressione, abuso di alcool. Inoltre, possono essere trasmessi stili alimentari rigidi come modelli di rifermento a cui il paziente può ribellarsi. Genitori che mostrano atteggiamenti critici nei confronti del fisico e che sopravvalutano l’esteriorità possono contribuire all’insorgenza del disturbo.
Oltre agli aspetti fisici, vi sono tre aree importanti di aspetti relazionali che coinvolgono i DCA:
1) Conflitto dipendenza/indipendenza: spesso i genitori di figli con DCA faticano a riconoscere la loro autonomia e indipendenza, attuando uno stile genitoriale controllante e iperprotettivo con scarso rispetto dei confini personali;
2) Aspettative eccessive: in presenza di DCA, spesso si riscontrano genitori idealizzanti che caricano di aspettative i propri figli nei diversi domini di vita. Allora il sintomo alimentare del figlio emerge per la necessità di essere riconosciuto e amato incondizionatamente;
3) Comunicazione emotiva mancante o disfunzionale: quando nel sistema familiare la comunicazione dei propri bisogni emotivi appare difficoltosa o assente, il corpo può divenire lo strumento per far emergere ciò che non si può e non si deve esprimere altrimenti.
Per ciò che concerne i fattori individuali, in adolescenza bisogna considerare la specificità di questa fase (i cambiamenti del corpo possono portare a fluttuazioni del peso corporeo difficili da accettare); in generale influiscono sulla vulnerabilità di sviluppare un DCA anche diete o restrizioni dovute a varie condizioni (ad es., celiachia, diabete), attività sportive incentrate sul corpo e la pressione dei pari. Inoltre, si annoverano tra i fattori di rischio di personalità la presenza di perfezionismo patologico, pensiero dicotomico, impulsività, bassa tolleranza alla frustrazione, oltre alla compresenza di depressione, ansia ed eventi traumatici.
Infine, per ciò che concerne i fattori socioculturali bisogna considerare l’influenza dell’ideale estetico di magrezza diffusosi a partire dagli anni 70' con i conseguenti conflitti sui ruoli femminili/maschili.
Quali invece i fattori scatenanti?
Non esistono nella letteratura delle cause che inneschino un qualsiasi DCA; tuttavia, esistono degli eventi che possono indurlo in persone già vulnerabili e predisposte.
Si riscontrano nella maggior parte fallimenti scolastici, lavorativi, affettivi, conflittualità genitoriale, separazioni, lutti, cambiamenti di vita, malattie, critiche, violenze o prevaricazioni.
Talvolta possono non esserci degli eventi antecedenti ma il comportamento alimentare disfunzionale può essere innescato da un accumulo di stress che deriva da situazioni traumatiche passate in associazione a fattori di rischio individuali e/o contestuali. Così anche la fine di un lavoro o l’inizio di nuova attività possono risultare insostenibili rispetto alle risorse percepite dalle persone affette.
Il comportamento conseguente a queste situazioni di solito è la restrizione alimentare, che può essere sia un fattore scatenante che di mantenimento del disturbo alimentare in questione.
Esistono dei fattori che dopo la comparsa del disturbo mantengono i sintomi nel tempo?
Una volta che i DCA sono innescati è difficile abbandonarli.
Il circolo è il seguente: la restrizione alimentare che sembra poter accrescere l’autostima in realtà porta all’ abbuffata; a seguito di questa si attuano condotte di eliminazione per ristabilire l’ideale del corpo magro per poi ritornare al regime restrittivo. I pensieri e le emozioni negative che accompagnano questi comportamenti costituiscono i fattori di mantenimento principali che ostacolano la ripresa di un’alimentazione normale. In particolare, il desiderio di controllare il corpo prevale su tutto, nonostante i danni fisici più o meno gravi conseguenti ai DCA.


C’è differenza nella distribuzione tra i due sessi?
I DCA interessano con grande prevalenza il sesso femminile con un rapporto di 10 femmine per 1 maschio. Questo probabilmente perché le femmine sono oggetto di maggiori pressioni da parte di una società che insiste sull’importanza della magrezza.
Tuttavia, neppure i maschi sono immuni e si ipotizza che la diffusione del problema possa aumentare. Nei maschi l’insoddisfazione corporea più che centrarsi sul rifiuto del grasso sembra rivolgersi alla ricerca del fitness, ovvero di una muscolatura ben sviluppata (vigoressia). Ad ogni modo, sono poche le conoscenze relative ai disturbi alimentari nei maschi che sono stati spesso esclusi dagli studi empirici. Per esempio, le ricerche sull’anoressia nervosa negli uomini riguardano solo l’1% degli studi. Sono state proposte diverse ipotesi per spiegare le motivazioni connesse alla sottostima dei dati, tra cui quelle che riguardano le credenze erronee sulla salute mentale degli uomini che vengono spesso definiti effemminati e/o omosessuali se riferiscono un DCA, conducendo così ad una maggiore negazione delle problematiche alimentari, sia da parte del paziente che da parte degli operatori sanitari.

Si può guarire?
Gli interventi sui DCA sono descritti in numerose linee guida basate sull’ esperienza e sull’esito di terapie di individui affetti. Riconoscendone la multifattorialità, si raccomanda un approccio multidisciplinare per intervenire su aspetti fisici, nutrizionali, psicologici e di mantenimento. Infatti, con i casi più gravi, sono necessarie cure medico/psichiatriche anche in regime di ricovero, altrimenti la terapia prevede sia interventi nutrizionali che psicologici.
In particolare, si raccomandano per anoressia, bulimia e per il binge-eating la terapia cognitivo-comportamentale (CBT). Dalla letteratura si evince che una risposta precoce entro le prime 4-6 settimane di trattamento di tipo cognitivo-comportamentale risulta essere un eccellente predittore a lungo termine (Agras et al., 2000). Per la bulimia e il binge-eating viene proposta anche la terapia interpersonale e per il binge-eating viene inclusa anche la terapia dialettico- comportamentale (DBT); viene inoltre consigliata la terapia familiare (FBT) soprattutto nella cura dell’anoressia e bulimia in adolescenza; inoltre, qualora questi interventi non dovessero rivelarsi adeguati, viene consigliata la terapia psicodinamica individuale o familiare.
Il coinvolgimento dei familiari, soprattutto in adolescenza e nella prima età adulta, appare di fondamentale importanza per il buon esito del trattamento. Occorre precisare che non esiste un trattamento migliore dell’altro, piuttosto l’efficacia deriva dall’ integrazione di diversi approcci (ad es., CBT+ terapia psicodinamica) considerando caso per caso.
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